Legale - Penale
12 Marzo 2018
Resistenza a Pubblico Ufficiale
Cassazione penale, sez. VI, ordinanza n. 57249 del 21 dicembre 2017
Con l’ordinanza del 12 dicembre 2017 è stata rimessa alle Sezioni Unite Penali il ricorso di cui al procedimento 3413/2017 ravvisandosi un contrasto giurisprudenziale in merito al reato di resistenza a Pubblico Ufficiale.
Gli Ermellini riconoscono l’esistenza di un contrasto interpretativo sulla sussistenza di una o più violazioni dell’articolo 337 del codice penale, nel caso in cui l’azione minacciosa o violenta sia realizzata nei confronti di una pluralità di Pubblici Ufficiali od incaricati di pubblico servizio, ovvero di soggetti che ne prestano mera assistenza.
L’articolo 337 c.p. dispone che: “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
Con la sentenza in esame la Corte d’Appello di Ancona, in seguito ad un gravame interposto dall’imputato contro la sentenza del 6/9/10 del locale Tribunale, aveva confermato la decisione con la quale il predetto era stato riconosciuto responsabile e condannato a pena di giustizia in ordine al reato di cui agli articoli 81 e 337 del codice penale, per aver rivolto minacce di morte ed usato violenza avverso l’assistente e l’ispettore, dicendo loro: “Ti ammazzo, sono di Ancona, quanto siete voi io vi ammazzo tutti, lasciatemi andare che vi ammazzo” strattonandoli e tentando di colpirli con alcuni pugni per opporsi mentre i pubblici ufficiali intervenivano per impedirgli di aggredire un uomo.
Contro detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato che deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 337 e 81 codice penale e il vizio della motivazione in ordine all’applicazione dell’aumento della pena per la continuazione, nonché l’inosservanza dell’articolo 62 bis del codice penale, in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il Collegio osserva che, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, sussiste un consapevole contrasto interpretativo nella giurisprudenza sulla sussistenza di una o più violazioni dell’art. 337 c.p., nel caso in cui l’azione minacciosa sia realizzata nei confronti di una pluralità di pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio o di soggetti che vi prestino assistenza.
L’orientamento fatto proprio dalla sentenza impugnata si pone nell’alveo di una più risalente giurisprudenza, secondo la quale, nel caso in cui la funzione pubblica sia esercitata da una pluralità di pubblici ufficiali attraverso azioni che si integrano a vicenda, la pluralità delle contrapposte reazioni con cui l’autore della resistenza intenda bloccare le predette complesse funzioni rientra nel paradigma del reato continuato.
Tale orientamento è stato confermato dalla Sez. VI, n. 35227 del 25 maggio 2017, Provenzano, in base alla quale la resistenza o la minaccia usate nello stesso contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ex art. 337 c.p., ma un concorso formale omogeneo di reati e quindi tanti distinti reati quanti sono i pubblici ufficiali operanti.
La decisione ha sottolineato che l’opposto indirizzo, che ritiene l’unicità del reato in presenza di una pluralità di pubblici ufficiali, svaluta “la tutela della libertà di azione del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio” e trascura che “la pubblica amministrazione è un’entità astratta, che agisce per mezzo di persone fisiche, ciascuna delle quali, pur operando come organo della stessa, conserva una distinta identità, suscettibile di offesa”, e si basa su di un argomento testuale, dato che, pur costituendo delitto contro la pubblica amministrazione, il reato di resistenza a pubblico ufficiale è caratterizzato da violenza o minaccia alla persona, condotta che conferisce “centralità all’opposizione violenta all’azione del singolo pubblico ufficiale e permette di individuare l’interesse protetto in quello della pubblica amministrazione a non subire intralci nel momento in cui, per assolvere ai compiti istituzionali, deve attuare la sua volontà tramite i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio e per tale ragione, cioè per garantire la sicurezza e la libertà di azione dei singoli contro fatti di opposizione violenta, la norma assicura tutela al pubblico ufficiale, soggettivamente individuato”.
Si è ritenuto ravvisabile il concorso formale omogeneo di reati nel caso in cui l’agente, con una singola azione, abbia commesso più violazioni della stessa disposizione di legge nella consapevolezza di contrastare l’azione di ciascun pubblico ufficiale.
A tale orientamento si contrappone quello, più di recente, secondo il quale: “In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, anche se nei confronti di più pubblici ufficiali od incaricati al pubblico servizio”.
Nel giustificare il disconoscimento dal precedente orientamento si osserva che la differente soluzione trova fondamento nella stessa struttura del reato secondo la formulazione letterale della disposizione, la dove focalizza quale obiettivo della condotta criminosa l’opposizione all’atto piuttosto che la violenza o la minaccia nei confronti del singolo, essendo il bene espressamente tutelato dall’art. 337 c.p. rappresentato dalla regolare attività dell’Amministrazione rispetto alla quale l’offesa al pubblico ufficiale rappresenta un danno collaterale.
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