Legale - Penale

11 Novembre 2016

Oltraggio a pubblico ufficiale anche se il soggetto è detenuto in carcere

Cassazione penale, sez. VI, sentenza 07/10/2016 n° 42545 (oltraggio a Pubblico Ufficiale)

L’oltraggio a Pubblico Ufficiale presuppone che l’offesa avvenga “in luogo pubblico o aperto al pubblico”.

Cosa succede se il fatto si verifica in carcere? Il carcere va considerato “luogo aperto al pubblico” o “privata dimora”?

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 42545 del 7 ottobre 2016.

Il Tribunale di Ferrara assolveva per insussistenza del fatto l’imputato dal reato di cui all’art. 341-bis cp “Oltraggio a pubblico ufficiale”. Nel caso di specie, infatti, le offese si ritenevano non penalmente rilevanti in quanto perpetrate all’interno della Casa circondariale, ambiente non riconducibile al novero dei luoghi pubblici o aperti al pubblico, come statuito dalla norma incriminatrice.

L’oltraggio è un reato di evento a forma libera.

La condotta è costituita da qualunque esternazione espressa con parole pronunciate o scritte (esternazione verbale) oppure con gesti, suoni o simili (esternazione reale).

Le espressioni oltraggiose possono concernere direttamente il pubblico ufficiale (cd. esternazione diretta) oppure persone con le quali egli ha vincoli di parentela o di colleganza tali da far sì che l’esternazione si riverberi su di lui (cd. esternazione indiretta).

La forma libera della condotta oltraggiosa incontra, nell’art. 341-bis cp, una serie di limiti. Il primo può denominarsi geografico, e dipende dalla necessità che l’esternazione sia effettuata “in luogo pubblico o aperto al pubblico”; il secondo limite, cd. sociale, vuole che il reato sia consumato in presenza di “più persone”.

Gli ulteriori vincoli di carattere temporale e funzionale (rispetto alle mansioni svolte dal p.u.) sono, invece, formulati cumulativamente nel 1°comma dell’art. 341-bis cp, a guisa del quale l’esternazione deve avvenire mentre il pubblico ufficiale “compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni”. E’ evidente che quest’ultimo inciso risulta pleonastico considerato che il compiere un atto d’ufficio postula che il pubblico ufficiale eserciti le sue funzioni.

E’ proprio il limite geografico l’oggetto della disamina della Suprema Corte.

Posto che nell’impianto codicistico manca una puntale definizione di luogo aperto al pubblico con riferimento alla fattispecie di oltraggio al pubblico ufficiale, i giudici di legittimità hanno operato un rimando, per relationem, ad arresti giurisprudenziali similari.

Pertanto, in materia di intercettazioni, è stato affermato che la cella e gli ambienti penitenziari non sono definibili quali luoghi di privata dimora perché non rientrano nel possesso dei detenuti, bensì nella disponibilità dell’amministrazione penitenziaria che può utilizzarli per qualsiasi esigenza d’istituto.

Ancora, in relazione al reato di atti osceni ex art. 527 cp commesso in una cella carceraria, quest’ultima è stata qualificata come luogo aperto al pubblico per tale intendendosi non necessariamente un ambiente accessibile a chiunque voglia introdurvisi, ma uno spazio limitato ad esigenze non private ed aperto a tutti i soggetti in possesso di un valido titolo legittimante. Dunque, la cella carceraria è equiparabile alle altre parti dell’istituto penitenziario in cui si svolge la vita di relazione dei detenuti e del personale addetto alla custodia.

In conclusione, la Cassazione ritiene tali principi passibili di estensione anche alla figura delittuosa in esame: afferma, infatti, che la ratio della norma di cui all’art. 341-bis cp consiste nel tutelare l’onore e il prestigio dei pubblici ufficiali “nel momento in cui l’offesa arrecatagli durante il compimento di un atto d’ufficio, travalica la persona del singolo, in quanto avvenuta alla presenza di più persone, andando ad incidere in senso deteriore sulla dignità ed il rispetto da cui deve essere circondata la pubblica funzione e sullo stesso buon andamento della P.A.”.

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