Legale - Famiglia

13 Febbraio 2018

Assegno divorzile: lasciare il lavoro non ne giustifica l’aumento

Con l’ordinanza n.3015/2018, pubblicata il 7 febbraio 2018, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa al diritto dell’ex coniuge all’assegno di divorzio, affermando che non ha diritto all’aumento del suddetto assegno l’ex coniuge che si dimette volontariamente dal lavoro, in quanto il tenore di vita matrimoniale non è più parametro di riferimento, mentre è necessario verificare il raggiungimento dell’indipendenza ed autosufficienza economica.

Il caso

Il Tribunale revocava l’assegnazione della casa coniugale assegnata in sede di divorzio all’ex moglie e rigettava la domanda formulata da quest’ultima di aumentare l’importo dell’assegno divorzile posto a carico dell’ex marito.

La sentenza di primo grado veniva confermata in sede di appello: la Corte Territoriale rigettava anche il gravame incidentale formulato dall’ex marito che chiedeva l’eliminazione dell’assegno di divorzio. Secondo i giudici di secondo grado, l’ex moglie non aveva diritto all’assegnazione della casa coniugale in quanto l’unico figlio della coppia era maggiorenne e dimorava presso il padre, né aveva diritto all’aumento dell’assegno di divorzio in quanto la stessa era proprietaria di un appartamento, dal quale percepiva un canone di locazione e di un terreno, oltre a beneficiare di un reddito derivante da un’attività lavorativa svolta in una società.

Pertanto, l’ex moglie soccombente proponeva ricorso per Cassazione deducendo fra l’altro la violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 della legge n. 898 del 1970, e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, non avendo la sentenza impugnata considerato che l’integrazione dell’assegno era necessaria per conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte di Appello che ha tenuto conto della breve durata della convivenza matrimoniale (circa sei anni), delle condizioni personali ed economiche dell’ex moglie, la quale era abilitata all’esercizio della professione forense e proprietaria di immobili e che aveva rinunciato volontariamente al lavoro.

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