Legale - Penale

16 Febbraio 2017

Scritture private false: utilizzarle non è più reato

Utilizzare scritture private false non è reato. Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 7/2016, tale fattispecie è stata abrogata. Sarebbe illogico che il legislatore abbia stabilito che non sia più reato falsificare una scrittura privata mentre continuerebbe a esserlo la condotta meno grave dell’uso. (Cass. 4951/2017)

Il caso

L’imputata veniva condannata per i reati di tentata truffa, ai sensi degli artt. 56 e 640 c.p. e per uso di atto falso ex artt. 485 e 489 c.p. in quanto, in concorso con altre persone rimaste ignote, utilizzava artifizi e raggiri al fine di procurarsi un ingiusto profitto.

In particolare, la stessa veniva accusata di utilizzare una scrittura privata relativa ad una richiesta di inserzione sul Registro Italiano Internet con firma falsa notarile e con l’impronta contraffatta del suo timbro, con lo scopo di ottenere il saldo di una fattura dell’importo di 960 euro.

La Cassazione boccia l’operato dei giudici di merito precisando che, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 7/2016, è stato abrogato il reato di falsità in scrittura privata, originariamente previsto all’art. 485 del codice penale. Con la recente normativa si è inoltre provveduto a cancellare il secondo comma dell’art. 489 c.p., il quale puniva l’uso delle scritture private diretto a procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

La nuova formulazione dell’art. 489 c.p. è la seguente: “Chiunque senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo”. 

Ne deriva quindi che l’uso di scrittura privata falsa non è più previsto dalla legge come reato.

Infatti, se il legislatore ha inteso depenalizzare la condotta della falsificazione della scrittura privata, non può assumere alcuna rilevanza penale il comportamento, indubbiamente meno grave, del soggetto che si limiti a usare tali scritture.

Una diversa interpretazione stravolgerebbe il senso del suddetto intervento normativo che dà attuazione ad una riforma, mossa dalla scelta politica di deflazionare il sistema, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione penale.

La Corte, affidandosi ad una lettura costituzionalmente orientata del nuovo impianto normativo, annulla senza rinvio la sentenza impugnata dalla ricorrente limitatamente al reato di falso perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

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