Legale

13 Ottobre 2016

Danno da insidia stradale: pericolosità dell’insidia e colpa del danneggiato

La Suprema Corte è tornata a pronunziarsi sulla vexata quaestio della caduta per insidia stradale (manto stradale sconnesso). Con la recente ordinanza del 05.09.2016, n. 17625, infatti, la VI Sezione della Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire, seguendo e confermando l’ormai prevalente e costante indirizzo giurisprudenziale, quale sia la corretta ripartizione dell’onere probatorio tra danneggiato ed ente custode, nel giudizio di risarcimento del danno da insidia stradale, costituita da manto stradale sconnesso.
In particolare, con l’ordinanza in questione, la Suprema Corte ha censurato l’iter argomentativo seguito dalla Corte d’Appello di Catanzaro che, dopo aver sussunto la fattispecie nell’alveo dell’art. 2051 c.c. e dopo aver accertato la presenza del nesso di causalità, aveva rigettato la domanda risarcitoria di parte attrice, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) l’accoglimento della domanda risarcitoria del danneggiato avrebbe richiesto la dimostrazione del fatto che lo stato dei luoghi presentava una obiettiva situazione di pericolosità;
2) sarebbe stato necessario dimostrare evidentemente, da parte dell’attrice, che la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode.

La Corte di Cassazione, invece, nel riprendere l’orientamento giurisprudenziale prevalente in tema di ripartizione dell’onere della prova tra danneggiato e custode, nei casi in cui si applichi l’art. 2051 c.c., ha distinto due ipotesi:

1) Quando il danno è causato da cose dotate di un intrinseco dinamismo, l’attore ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa ed il danno, mentre non è necessaria la dimostrazione della pericolosità della cosa.
2) Quando il danno è causato da cose inerti e visibili (marciapiedi, scale, strade, pavimenti, e simili), il danneggiato può provare il nesso di causa tra cosa e danno dimostrandone la pericolosità (ex multis, Cass. Civ. Ordinanza n. 27272 del 2015).

Secondo gli ermellini, dunque, “La pericolosità della cosa inerte è indizio dal quale risalire, ex art. 2727 c.c. , alla prova del nesso di causa. Se una cosa inerte non è pericolosa, ciò può bastare per affermare che manchi il nesso di causa tra la cosa e il danno. Ma quando il nesso di causa tra cosa e danno è positivamente accertato (come ritenne la Corte d’appello nel nostro caso), non è più necessario stabilire se la cosa stessa fosse pericolosa o meno. La non pericolosità d’una cosa inerte infatti può escludere il nesso di causa ma non la colpa del custode: sicchè se quel nesso è dimostrato aliunde, la pericolosità della cosa diventa giuridicamente irrilevante… Provato tale nesso, spettava dunque al Comune dimostrare la propria assenza di colpa”.
In altre parole: se viene accertata la sussistenza del nesso di causalità tra cosa in custodia e danno, nessun giudizio sulla “pericolosità” dell’insidia stessa può escludere il risarcimento del danno, bensì solo ed esclusivamente un giudizio sulla sussistenza di un profilo di colpa del danneggiato; colpa che deve essere dimostrata dall’ente convenuto in giudizio.

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